Charlie Hebdo, offese

LETTERA

Ciao a tutti, Pirati e non. Ho letto i vostri commenti al caso Charlie Hebdo e in particolare alle dichiarazioni di Papa Francesco I.

Libertà per libertà, vorrei introdurre il mio pensiero. Mi scusi, piratessa, se intervengo così, un po’ a cazzo e fuori dal coro, ma lo faccio! E se la cosa vi dovesse indignare, non mi aspetto alcun pugno, perché qua nessuno è fondamentalista né tanto meno terrorista… ed è in questo spazio, di “tolleranza” commisurata al livello storico-culturale-democratico maturato in mille e più anni di cammino dell’uomo occidentale, che posso misurare il mio pensiero libero e finanche il mio dissenso, senza timore alcuno di perdere la vita o la faccia.

Dunque, mi ha molto divertito l’umorismo sul vilipendio alla gnocca, poi ho visto il riferimento di questo alle parole di papa Francesco e i relativi commenti e banali fraintendimenti. Scusatemi se li definisco banali, ma non può essere che si legga nelle sue parole una legittimazione alla violenza in caso di vilipendio alla propria religione, lui non voleva dire questo, voleva dire molto più semplicemente e fuor di metafora che, finché affronti l'”altro” ad armi pari con gli stessi codici umani in modo che, sentendosi colpito, sia in grado di reagire muovendosi sul tuo stesso piano cognitivo ed umano, tu sai che la tua libertà di pensiero e di parola è sacra per entrambi per cui non ti aspetterai una risposta sproporzionata ed assassina. Se prendi in giro un bambino, userai dei parametri che egli possa interpretare in base al suo livello cognitivo ed evolutivo, contrariamente non sarà in grado di reggere l’affronto e reagirà in malo modo, in qualunque cosa questo si traduca. Se fai la stessa cosa con un pazzo, e magari “gli sfotti la mamma” come fai sovente con persone sane di mente che a loro volta sono abituate a farlo e a subirlo senza alcuna conseguenza letale, aspettati che quel pazzo possa avere una reazione inconsulta e ferirti o ucciderti… Se mandi un’offensiva di qualunque tipo ad un pianeta di marziani, pari a quelle utilizzate con i tuoi simili, ti meravigli del fatto che questi possano eventualmente reagire bombardandoti la Terra? Insomma, di quale libertà stiamo parlando? Per arrivare alla conquista di Liberté Egalité e Fraternité l’umanità occidentale europea ha dovuto aspettare il 1789… non vi è stata ancora nessuna Rivoluzione Francese tra i popoli islamici che possa aver creato una simile evoluzione…Vi è un forte dislivello storico, culturale, cognitivo e legalistico, millenario nel vero senso della parola, tra chi è passato dalla Rivoluzione e chi non ci è passato ancora, e questo passaggio ha gettato fiumi di sangue in nome della Libertà, sangue che chi è “indietro” non conosce ancora: parliamo di gente che ti taglia le mani perché rubi e ti lapida perché sei donna adultera…da noi si faceva ugualmente, ma secoli fa. Mi chiedo se è proprio necessario vilipendere la religione altrui quando questo altrui non è per niente pronto a digerire il colpo ed è pericoloso…mi sono chiesta come l’avrei pensata riguardo alla libertà di espressione se tra gli ostaggi quel bambino di 6 mesi, che non aveva la minima idea di chi cazzo fosse Charlie Hebdo, fosse stato mio figlio, mi chiedo perché è tanto necessario andare “a sfottere la mazzarella” a chi non conosce i diritti umani, per poi meravigliarmi perché mi venga a trucidare e metta in pericolo anche la vita di innocenti…Con questo non mi unisco al coro di quelli che dicono “Se la sono cercata!”, che vale quanto un “Ben gli sta!”, No, questo no, mai! Ma non posso neanche unirmi a chi inneggia ad una libertà che ha perso ogni contatto con la realtà circostante: la libertà non è un ideale senza alcun confine critico, è uno status quo, la tua libertà non è universale, non sei libero di offendermi solo perché esisto e martellarmi ad oltranza pretendendo che io abbia la saggezza e la tolleranza di Gesù Cristo (i pastafariani mi scusino, ma questi sono i miei riferimenti), aspettati prima o poi che io reagisca alla tua offensiva con la “mia”, nella consapevolezza che io non conosco limiti sulla vita come tu non ne conosci sul segno e sulla parola. Poi possiamo fare dibattiti, cortei e inni “Je suis Charlie” o no Charlie, ma sono chiacchiere…Quindi, se mi sfotti la mamma, lo fai con cazzimma, ad oltranza, me la disegni sui tuoi e sui miei muri con immagini e parole oscene, me la sputtani pubblicamente nel tentativo di demolirmi ed esasperarmi, rincarando la dose laddove sai che non posso accettarlo e non ho nulla da perdere perché non attribuisco alcun valore alla vita umana, e che cazz…FERMATI E PASSA APPRESSO!!!!

(Lettera firmata)

 

RISPOSTA

piratessa-charlie_3

Caro lettore,

rispetto agli eventi di Parigi, ci sarebbero troppe cose da dire. Tra noi pirati si è aperto un dibattito serrato che non reputo banale, nemmeno nei casi in cui non l’ha divertita più. Non sono banali nemmeno le sue osservazioni, tant’è che offro ad esse questo spazio.

Recentemente un nostro confrittello pastafariano ha scritto «La satira è una cosa, l’insulto è un’altra. Insultare una religione, qualunque religione, Cristiana, Pastafariana, Buddista, Musulmana, non è sparare dal basso verso l’alto. Insultare una religione è sparare ad alzo zero, ad altezza uomo. A parte che mai un Dio degno di questo nome si offenderà per gli insulti ricevuti dagli uomini. Né insultare una religione è insultare un Papa, un Imam, un Pappa o altro. L’insulto, e quindi anche la bestemmia, colpiscono la sensibilità dei fedeli di questa o quella religione. E i fedeli sono esseri umani comuni che certo non appartengono a logge di potere. E proprio in qualità di ministro di culto del Pastafarianesimo, religione che fa della tolleranza e del rispetto la propria bandiera, che non approvo alcun tipo di insulto, e che a questo punto non chiamo più satira, nei confronti dei fedeli di qualunque credo religioso. Ecco, i signori che scrivevano e che scrivono sulla rivista Parigina non fanno satira. I Signori sono, banalmente, volgari disegnatori di insulti»

Come vede, tra di noi c’è chi ha opinioni affini alle sue.

Tuttavia è a Beverenda Scialatiella Piccante che lei ha scritto. Pertanto rispondo, non a nome di tutti, bensì del mio animo pastafariano e di quello che so della satira.

Pongo una sostanziale differenza tra ciò che viene detto al bar, in strada e ciò che viene detto in un ambito artistico. Ritengo che all’interno della realtà culturale siano necessarie zone espressive assolutamente franche, nelle quali la comunità possa scovare, in mezzo al cumulo di eccessi, opportunità di assoluta rigenerazione.

Se una persona qualsiasi dicesse a una persona qualsiasi «tua madre è una mignotta», è comprensibile che ne esca una rissa. Quando un artista, un artista della risata, dice una cosa del genere a un personaggio pubblico, chi legge sa che esistono diversi piani di lettura. Uno è quello letterale, il resto si trova “oltre”. La satira non è un insulto, non è diffamazione, sono relativamente d’accordo. La satira certamente è caricatura del dato linguistico, del dato figurativo, è iper-espressione. Tutti gli strumenti della retorica, dal grottesco all’osceno, sono a servizio di un linguaggio di necessità estremo che ha l’obiettivo di denunciare, di evidenziare, di correggere.

Può essere che gli scaricatori di porto si suonino due schiaffi quando sentono parlare della loro mamma. Può essere che allo stadio l’insulto è gridato per istigare una baruffa che non ha nulla a che vedere con il calcio e si correla all’ansia di sfogo. In sede culturale, nessun artista o pensatore dovrebbe preoccuparsi come se fosse tra i banchi dell’asilo: «Se l’offendo, mi dà un calcio». Il satirista ha un interlocutore di fronte, spesso si tratta di qualcuno che rappresenta un potere, un potere che ha peso sulla sua società. Gli parla attraverso opere che possono essere piacevoli, interessanti, o meno. Il potere risponde. Se la risposta del potere è uccidere, incarcerare, è una risposta sbagliata, non era sbagliata la domanda. Quindi non si deve correggere la domanda, si deve pretendere che la risposta cambi. La reazione di un’Istituzione deve essere all’altezza del proprio rango, la responsabilità sociale della sicurezza dei cittadini non è dell’artista, bensì della politica che esamina secondo legge e giudica in tribunale. Non perpetra, ad esempio, esecuzioni pubbliche sommarie.

L’unico reato che è stato commesso nella triste vicenda di Parigi non è quello di parola. Il reato che vedo è l’omicidio.

Se mi aspetto un pugno dal tipo al quale offendo la mamma, è anche vero che non posso aspettarmi altro che SATIRA da uno che per lavoro fa la SATIRA e non le caramelle di zucchero. Nell’estetica di alcune forme d’arte c’è il congenito obiettivo di sfidare la norma, di andare oltre ciò che i simboli rappresentano. L’artista – se non sta dando false informazioni, ma sta dando personali opinioni – può dire, DEVE DIRE quello che vuole. Io non sono Charlie Hebdo, ma per me è fondamentale che Charlie Hebdo sia ciò che è.

Di fronte a un’opera culturale tutti, ma proprio tutti, siamo “pubblico”. In quanto tale, possiamo esprimere adesione, per gusto o messaggio, all’opera in questione. Possiamo leggerla, comprarla, diffonderla. Oppure ignorarla, criticarla.

Ritornando ad alcune delle sue domande, se sia il caso o meno di “sfottere la mazzarella”, purtroppo,  non credo che l’assassino smetta di uccidere, se le sue vittime “evitano” di mettersi nelle condizioni di essere uccise.

Il potere non ha alcun interesse a emanciparsi, a maturare, se la società non lo sollecita a farlo; se non viene messo in discussione. Non esistono armi culturali “proporzionate” alla cultura dell’interlocutore, perché tra cultura e potere non può esserci un rapporto pedagogico.

La verità è che da sempre alle “rivoluzioni” o allo sviluppo del diritto si arriva perché qualcuno mette in evidenza le ingiustizie, perché le reazioni a tali denunce causano altre ingiustizie, di fronte alle quali a un certo punto si decide di indignarsi. La rivoluzione francese è stata preceduta da un secolo sanguinario, di conflitti religiosi. Un secolo che ha prodotto roghi, torture. Gli ideali di uguaglianza, fratellanza e libertà non prendono corpo in seno alla collettività se intellettuali, artisti, uomini di legge non rompono, letteralmente, posizioni di potere e pensieri.

La religione cristiana si fonda sul sacrificio di un uomo che aveva semplicemente “detto” di essere figlio di Dio.

La provocazione dell’arte e della cultura, mostrandoci che siamo potenziali vittime, ci mette in guardia, indicando da chi difenderci, suggerendo i “simboli” da de-potenziare. La fuga nell’Aventino, l’alzata di mani, non ha fermato il fascismo. Ciò che fa fermare i soldati a cavallo di fronte a una folla di disobbedienti civili è il consenso. Non è il silenzio. Non è la cessazione della provocazione.

Sarebbe bello se non fosse così, ma nel nostro mondo il consenso si costruisce attorno a dolori che il silenzio non evita. A mio avviso, anziché arretrare, autocensurarsi, oggi tutti devono sostenere opere culturali e artistiche che gridano forte, in spregio del limite. Tutti, in ogni parte del mondo. Perché è la maggioranza che cambia le carte in tavola. La maggioranza.

Grazie per le riflessioni che mi ha messo nelle condizioni di maturare.

Beverenda Frescova di Salerno.

 

 

Spappessa (ex Pastefice Massima), assatirata, compagna di arrembaggi di artistə perseguitatə per ideologie religiose, ispiratrice con le sue accorate parole della Ciurma Pastafariana dalla Campania a tutto lo Stivale.

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