Sulla graticola del Gran Minestro #2 – Chef Kumalé
Secondo appuntamento con “La Graticola del Gran Minestro“. L’ospite di oggi è Vittorio Castellani, alias Chef Kumalé, giornalista, scrittore, insegnante e grandissimo appassionato di cibo nelle varie declinazioni che acquisisce nel mondo.
Il sottoscritto, noto anche come Venerabile Rincoglionito, chiede scusa del fatto che alcune risposte sono un po’ riassunte a senso, ma la registrazione della telefonata aveva un pessimo audio, con rumori di fondo predominanti, e mi ha costretto a questo escamotage…e partiamo con le domande.
Tu, CHI CAZZO SEI?
Sono un gastronomade, come mi ha definito mio figlio in un tema, per spiegare un po’ il lavoro che faccio: “mio padre è uno che scrive, che organizza, che viaggia e che cucina. Un gastronomade”.
Mi piace molto come definizione, perchè in poche parole sintetizza cosa sono.
Nella pratica mi occupo di varie cose: sono un giornalista free-lance, non sono dipendente di una testata e scrivo per ditte e riviste italiane di cibo; poi, in Italia, facendo il giornalista in modo onesto, free-lance è difficile riuscire a campare, e allora faccio anche altre cose: libri, insegno…
Mi piace molto insegnare: insegno in alcuni master; alla IULM a Milano, e poi in altre città italiane. A Costigliole d’Asti vengono circa 2000 persone da tutto il mondo per imparare la cucina italiana.
Ti è mai capitato di sentir parlare della Chiesa Pastafariana?
Devo essere sincero: sì, però non ho mai approfondito l’argomento.
Non per scarso interesse, ma perchè fa parte di una delle tante cose che dici: “Prima o poi vado a vedere chi sono e cosa fanno…”.
Ho trovato molto simpatica la definizione: poi, sapendo che ci sei tu dentro, ho detto: “Prima o poi…”
Qual è il tuo rapporto con la religione o, se preferisci, con la spiritualità?
Io mi definisco un ateo, sono un simpatizzante buddhista perché sono stato molto in Asia e mi sono un po’ avvicinato a questa filosofia orientale.
Ho letto un po’ di libri, e mi ritrovo vicino alla misticità, anche se andavo all’oratorio.
Credo nell’uomo ed ho comunque dei valori che sono un po’ ispirati alle religioni che ho conosciuto in tanti anni di viaggi.
Ho una specie di sincretismo di filosofia, di vita, piuttosto che di religione.
Che opinione hai su quella che viene chiamata “famiglia tradizionale” e, in genere, a proposito dei diritti e delle libertà da concedere o negare a gay, lesbiche, bisex, transessuali e tutto il variegato “mondo arcobaleno”?
Mah, io appartengo ad una di quelle famiglie cosiddette “ a geometria variabile”.
A me, quello che la gente fa nel proprio letto, e quelle che sono le abitudini sessuali delle persone…è tutto lecito fra adulti consenzienti.
Ho le mie preferenze: sono un eterosessuale, rispetto la scelta delle persone: “de gustibus non disputandum est”.
Ti è capitato di riflettere sul “fine-vita” assistito, sull’eutanasia per persone che desiderano smettere di soffrire e lasciare questa vita in modo dignitoso e dolce?
Che ne pensi?
Credo che la vita ci viene data senza che nessuno ci interpelli, e chi ha la fortuna di viverla fino alla fine dei suoi giorni, deliberatamente, senza ripensamenti, è una persona felice.
Questa vita, ad un certo punto sperimenta forme di dolore…non sono solo favorevole all’eutanasia, ma anche al suicidio.
Credo che importi la qualità della vita, non la quantità.
Ritengo che chi desidera vivere fino alla fine dei suoi giorni sia una persona fortunata e sono felice per lui.
Una persona che trovi intollerabile vivere, non solo perchè ha delle malattie invalidanti, ama anche per quello che Pavese chiamava “il mestiere di vivere”, la fatica di vivere non la tollera.
Sulla spinosa questione dell’accoglienza dei migranti o della chiusura dei porti hai una tua opinione?
Ho iniziato nel 91 con una trasmissione radiofonica di musica e cucina dal mondo, che si chiamava “Cous cous Clan”. L’uso del cibo in questa chiave può essere utile per far digerire certe idee. E’ da 28 anni che mi occupo di cibo anche in questa chiave.
Sto lavorando al progetto “Nati per soffriggere” in cui lavoro con dei rifugiati, con l’obiettivo di insegnargli la lingua.
C’è un certo progetto che si chiama “Parole in pentola”, dove utilizziamo la cucina come laboratorio linguistico, facciamo attività di agricoltura esotica a km.0, in siti agricoli dove le persone possono coltivare, con l’aiuto di agronomi esperti in agricoltura tropicale, prodotti agricoli coltivabili in Italia (oggi esistono 111 specie sub-tropicali, con successo, da vari paesi, dalla Cina, dal sud America, ecc.).
Facciamo attività di educazione alimentare, (molte di queste persone arrivano dall’Africa sub-sahariana, ed hanno avuto un imprinting devastante grazie alle multinazionali che hanno portato in questi paesi farine raffinate, latte, oli esausti…) quindi facciamo corsi di cucina con loro, gli insegniamo a cucinare le loro ricette tradizionali, migliorando le tecniche e l’uso degli ingredienti, in modo da renderle meno nocive per la salute.
Poi facciamo formazione professionale in ambito gastronomico, perché molti ristoranti cercano persone che abbiano capacità, anche ai livelli più bassi della cucina (tutti gli italiani vogliono fare il Carlo Cracco della situazione, ma più nessuno vuole fare il commis o cominciare da zero).
Facciamo attività di sensibilizzazione sui temi dell’accoglienza attraverso cene social.
Facciamo documentazione sulle culture gastronomiche di queste persone: raccogliamo foto, leggende, testimonianze, ricordi, danze, usi a tavola.
La tua idea sulla liberalizzazione delle cosiddette “droghe leggere” quale è?
È un discorso complesso: ho lavorato 8 anni nel settore delle tossicodipendenze, prima di fare questo lavoro ed ho un background di un circuito molto alternativo, perchè sono stato un punk ed ho bazzicato nei centri sociali nel periodo dal ’78 all’ ’82.
Poi ho mollato, proprio a causa della droga. Perché sono morti alcuni vicini a me che mi hanno poi spinto a fare un lavoro di educazione e d’aiuto (in quel periodo parliamo di eroina e cocaina).
Io non mi faccio le canne, le ho provate senza grossa soddisfazione. Però se a uno piace farsi le canne non sono certo io quello che dice che non se le deve fare.
Ho una preoccupazione: io sono stato in Giamaica ed ho fumato coi Rastafariani, per provare. Il problema è che ho molti amici che hanno fatto uso per molti anni in maniera continuativa hanno avuto sempre problemi di salute, tumori ai polmoni (ma questo è un problema di ogni tabagista: mio padre è morto per un tumore); e soprattutto le sostanze di taglio di oggi, quello se si compera in giro è pieno di sostanze nocive, addirittura mettono del metadone, e poi è la malavita che gestisce la cosa.
Faccio parte di quell’area militante che era contraria e diceva che la droga è un’arma del potere. Quindi la cultura dello sballo non mi appartiene, sono più per la lotta al sistema, per cambiare le cose. Poi se si è in compagnia, ci si fa una canna ed un bicchiere di vino, una volta ogni tanto… è la continuità.
Se una persona non riesce più a vivere senza bere, senza fumare, senza tirare di coca, allora mi sembra una falsa libertà.
La Chiesa Pastafariana si batte a livello internazionale per l’abolizione del reato di blasfemia che in molte nazioni può persino comportare la pena di morte.
Tu credi che un dio onnipotente abbia bisogno di poliziotti, giudici e boia per difendere il suo buon nome?
Mah, mio padre bestemmiava come un turco. Io ora bestemmio molto meno, ogni tanto mi scappa…
Ci sono tanti modi per bestemmiare: io trovo che lasciar affondare delle persone in mezzo al mare sia la peggiore bestemmia di questo mondo.
Un dio viene bestemmiato in tanti modi, e sono spesso quelli meno espliciti i più gravi: è quel tipo di bestemmie che fanno male.
Per noi Pastafariani la preghiera ed il nutrirci coincidono: i pasti sono il nostro modo di realizzare l’unione con il divino che è in noi.
Tu che rapporto hai con il Cibo e, in particolare, con la Pasta?
Il cibo è sacro, ed una delle cose che dico sempre.
Andiamo a studiare le civiltà antiche, le religioni: guarda quanti riferimenti ci sono nel Corano al cibo, e non parliamo della Torah e della religione ebraica, o nel mondo delle religioni orientali.
Il cibo, in Oriente, è uno dei modi principali con cui gli esseri umani hanno ringraziato le divinità.
Volevo scrivere un libro, “Quattro santi in padella” sul rapporto tra cibo e religione.
Ma anche le civiltà più antiche, prendiamo le civiltà precolombiane, facevano il Pago de la Tierra (il ringraziamento della Madre Terra).
I campesinos, ancora oggi, a fine raccolto, fanno questo rito di ringraziamento. Si fa una cena dove tutti i lavoratori collaborano e si mangia tutti insieme i prodotti della terra, cucinati nella terra stessa (si fa una buca e si copre con pietre ardenti) e poi si fa una porzione di ogni delizia che la terra ha prodotto e viene seppellita, in una pentola di terracotta: questo è il Pago de la Tierra, la ricompensa della Madre Terra.
Quindi il cibo, nelle civiltà antiche, nelle religioni, esiste il principio del food offering (il dare per ricevere cibo).
Un tempo il cibo era nutrimento spirituale, non era banale: oggi invece si mangia come si fa il pieno alla macchina, mettiamo dentro qualsiasi cosa, non badiamo al lavoro che ci sta dietro. Il lavoro meraviglioso dei contadini, di chi produce per noi, e soprattutto alla qualità del cibo, alla necessità di mangiare un cibo “pulito”, un cibo sano.
Oggi purtoppo il nutrimento, il cibo, è la prima causa di morte: malattie cardiovascolari, diabete, infarti…hanno radici nell’alimentazione, laddove in alcuni paesi del mondo la scarsità continua invece ad essere un problema. In un mio libro, “Il mondo a tavola”, c’è un capitolo: “La cucina come dio comanda”, dove affronto il tema del rapporto tra cibo e le diverse religioni nel mondo, ed è anche un tema che insegno nei master universitari.
Hai domande a tua volta da fare?
E, se no, ti andrebbe una Birra?
Quando vengo a Torino, ben volentieri.
Se qualcuno desidera approfondire la conoscenza, questo è il link al sito di Chef Kumalé:
https://www.ilgastronomade.com/
Agnolotto da Ruché
Venerabile Rincoglionito
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