LETTERA

Cara Piratessa,
alcune settimane fa ero accomodata nella sala d’attesa dello studio dentistico. C’erano diverse riviste offerte ai pazienti. In genere, in tali occasioni capitano nelle mie mani letture cui, altrimenti, non mi dedicherei: gossip, consigli per la cosmesi, religione.
Mi dispiace di non essere in grado di darti la fonte, ma quanto ho letto in una rubrica epistolare mi fa compagnia da settimane. Anzi, è argomento di conversazione tra me e i miei amici pirati, seguitiamo a riderne. Una neo sposa scriveva di essere arrivata pura al matrimonio, esattamente come il proprio compagno. Entrambi sono cristiano-cattolici e praticano la loro fede. La scoperta del sesso ha confermato la sintonia della loro unione, ma da qualche tempo il marito chiede alla moglie di provare nuovi piaceri e la giovane signora si domanda se esistano limiti e confini nel sesso coniugale che voglia restare coerente ai principi religiosi.
La risposta che la donna ha ricevuto ha una premessa incoraggiante, che sottolinea che la gioia e il piacere che derivano dalla sessualità sono importanti. Tuttavia, più avanti, è ribadito che la sessualità è comunque e sempre orientata al dono della vita, non può essere disgiunta dalla finalità procreatrice: il godimento fine a stesso, che utilizza il corpo dell’altro, sarebbe da considerare illecito.
So che sei una cultrice dei Monty Python e, immaginando una tua risposta, noi pirati ci siamo domandati se viene in mente anche a te Every Sperm is sacred.

Firmato

Piratessa con molare cariato.

 

RISPOSTA

Mia cara frittella,
sì, è vero, sono una cultrice dei Monty Python e forse, vestita da pinguino, dovrei intonare «Every sperm is sacred./ Every sperm is great./ If a sperm is wasted,/ God gets quite irate» come sola forma di risposta possibile a una concezione del genere. Tuttavia, oggi non mi riesce di attingere alla satira.
La tua lettera mi giunge in una giornata particolare, quella dedicata alla mutilazione genitale femminile. Le mie riflessioni vanno molto al di là della problematica del contenimento delle nascite o dell’ingerenza religiosa nell’intimità di una coppia appena sposata.
La società umana, per qualche ragione che non comprendo, ha paura del sesso. Forse le malattie genetiche rafforzate dai rapporti tra consanguinei, hanno indotto gli uomini a ritenere che questo aspetto dell’esperienza umana fosse oggetto di punizioni e benedizioni, che andassero stabiliti dei confini. L’associazione sesso-riproduzione, il collegamento alla vita, alla creazione, avrebbero collocato la sessualità nella dimensione del sacro e quindi a uno spazio aperto all’interdizione divina.
La paura determina protezioni.
La società umana non sempre riesce a bilanciare la necessità della protezione con la giustizia.
Scelte originate dalla ricerca di una maggiore sicurezza per la sopravvivenza diventano presto strumenti di controllo, strumenti nelle mani di categorie predominanti su altre.
Il mio pensiero supera il contesto religioso, perché la problematica sessuale che evidenzi è legata al piacere e alla funzione della sessualità che, oggi, ho il dovere di trattare in maniera più seria.
Assegnare alla sessualità una funzione specifica non significa automaticamente fare del sesso qualcosa di sacro, ciò è servito per molto tempo, e in contesti ancora attuali, a farne un atto meccanico volto a uno scopo controllabile.
Il controllo della funzione riproduttiva del sesso è, storicamente, maschile.
La condanna del piacere fuori dalla “fecondità” è una condanna, soprattutto, alla libertà sessuale delle donne. Tale condanna si manifesta in vari modi in tutte le culture, arrivando a quelle forme estreme come la mutilazione genitale. Le religioni assorbono tali visioni [che sono socio-politiche] della mentalità maschile, ma non ne sono l’origine. L’infibulazione, ad esempio, deriva da “fibula”, è una pratica pre-islamica e serviva a controllare la sessualità delle schiave, in area mediterranea e romana. Oggi è conservata in culture dove le spose mutilate hanno un “prezzo” più alto, laddove i maschi sono condizionati a ritenere che il loro piacere e la loro abilità sessuale aumentino con donne mutilate e sottomesse.

In verità, la sessualità non è un’esperienza del sacro o appartenente al sacro.
La sessualità è un aspetto dell’esigenza affettiva dell’uomo, del bisogno di vivere sensazioni di piacere e di benessere. Assicurare moralità a tale ambito non può avere come unica soluzione il matrimonio o la riproduttività: il matrimonio non è l’unica forma morale di una possibile unione. Inoltre gli esseri umani si incontrano intimamente per molte ragioni, ragioni che non è giusto abolire come illecite, degradate o degradanti.
Liberare il concetto di piacere dalla condizione della procreazione libera il sesso dalla riduzione a una funzione e lo apre alla sfera dell’esperienza e della conoscenza, rispetto alla quale esiste solo il limite del rispetto, rispetto della maturità psicologica e biologica dell’altro, nonché della sua volontà.
Il diritto al godimento non è affatto un lasciapassare all’uso del corpo altrui, bensì è il riconoscimento che il sesso è un momento di realizzazione e di espressione dell’individuo.
Emanciparsi dalla colpa aiuterebbe ad avere una coscienza sessuale più serena, consapevole che il sesso è sempre senso di sé e dell’altro, anche quando è gioco o passione o conforto.
Riconoscere l’ambivalenza dei dati fisici e affettivi, non significa promuovere una società promiscua o ambigua, ma soltanto rendersi conto che l’esperienza umana ha più valori attraverso i quali concretizzare dignità, amor proprio, condivisione.
Non ci cibiamo solo per nutrirci, dunque anche il sesso è portatore della nostra cultura, della nostra estetica, del nostro bagaglio psico-emotivo e della nostra bellezza.
Alla giovane sposa desiderosa di capire se sia opportuno stabilire dei limiti al desiderio reciproco che il marito e lei hanno la fortuna di sentire, risponderei di vivere pienamente la sua gioia, senza altro limite che il rispetto, conscia del fatto che esso non è vincolato a una pratica, ma a uno stato d’animo.
Infine le suggerirei di cercare una “stanza tutta per sé” e di toccarsi.
Esiste la possibilità di compiere un viaggio nella propria vita sensibile ispirato all’amore di sé.
Le suggerirei di toccarsi senza ricorrere a fantasie, senza immaginarsi con un partner, ma solo ascoltando le risposte della pelle alla vitalità affettiva e conoscitiva delle proprie carezze.
Le direi di farlo nella consapevolezza che esistono donne private di tale gioia dal trauma dello stupro o dalla tortura della mutilazione, atti con i quali esse non sono state ricondotte alla purezza, ma solo private del diritto alla benessere sessuale.
Agli estremi della funzionalizzazione del sesso ai ruoli, infatti, c’è il dominio, non il sacro.
Nel dominio dell’uno sull’altro non esiste alcuna morale, alcun progresso, alcuna felicità.

Ti chiedo scusa, piratessa, se non ho risposto secondo le vostre aspettative, riguardo alle quali però confermo ogni complicità. Ma oggi è un giorno su cui non so scherzare.
L’unica fantasia che attraversa il mio immaginario è che, un domani, su una di quelle riviste che incontri dal medico possa esserci una risposta come la mia… o un articolo, magari, in cui sia annunciato che nessuna donna sarà più mutilata.

Oggi mi sento di firmare con il mio nome anagrafico.

Emanuela

Spappessa (ex Pastefice Massima), assatirata, compagna di arrembaggi di artistə perseguitatə per ideologie religiose, ispiratrice con le sue accorate parole della Ciurma Pastafariana dalla Campania a tutto lo Stivale.

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