“… Questo è il cammino

E poi dritto, fino al mattino.

Poi la strada la trovi da te

Porta all’isola che non c’è.”

– L’isola che non c’è, E. Bennato (1980)

Ho voluto cominciare questo breve saggio con la citazione completa di questa strofa della ben nota canzone di Edoardo Bennato perché mi sembrava estremamente rilevante all’argomento che voglio trattare: l’Isola del Vulcano di Birra esiste veramente o è solo un luogo simbolico? E se esiste, è raggiungibile dai viventi?

Quello che mi propongo di dimostrare nelle prossime righe è che la risposta a entrambe le domande è un netto “sì”.

Permettetemi di prendere l’argomento un po’ alla larga, cominciando appunto con il romanzo di J.M. Barrie che ha ispirato la canzone di Bennato.

Peter Pan è un libro palesemente pastarianofobico; è evidente che l’autore conosceva almeno le basi della nostra religione: la conformazione dell’isola, per quanto malamente descritta, rivela la sua origine vulcanica; è abitata, tra l’altro, dai “bambini perduti” che è evidentemente un eufemismo non troppo sottile per dire “bambini morti” (ricordiamo che quando il libro è stato pubblicato, nel 1911, la percentuale di mortalità infantile era ancora a due cifre!); infine, ed è forse il punto più importante, l’isola è frequentata abitualmente dai pirati!

Peter Pan: atto di pastafarianofobia per nasconderci l’Isola del Vulcano di Birra?

È evidente che Barrie sta parlando dell’Isola del Vulcano di Birra (anche se non mi pare nomini mai esplicitamente la birra), ma la dipinge in maniera sottilmente e abilmente distorta: i pirati nel romanzo sono figure negative, che dovrebbero rappresentare gli adulti privi di fantasia e timorosi della morte. Questo è chiaramente un tentativo di distruggere l’immagine reale e positiva del Pirata Pastafariano, tentativo peraltro malriuscito visto che questi suoi pirati che a parole sono persone “perbene” e inquadrate nel sistema, alla prova dei fatti si mostrano come un’accozzaglia di casinisti, cosa che si attaglia perfettamente alla figura del Pirata che noi conosciamo.

Inoltre, cosa non strana per un autore nato e cresciuto nell’era dell’Impero Vittoriano, non viene mai nominato esplicitamente il Prodigioso!

Questa lunga premessa serviva solo a sottolineare il fatto che la coscienza dell’esistenza dell’Isola era ancora ben presente nella cultura europea ancora alla fine del XIX secolo, ben due secoli dopo il Massacro degli Hare Krisna e l’inizio della persecuzione antipastafariana; questo significa che, se cerchiamo bene, anche la storia ufficiale ci potrà probabilmente dare indizi utili all’identificazione dell’Isola: le informazioni potranno essere state distorte, ma mai completamente eliminate.

Veniamo quindi al nocciolo della mia tesi.

Già nel VII secolo prima dell’era volgare Esiodo parlava del Giardino delle Esperidi, luogo mitico situato da qualche parte al di là delle Colonne d’Ercole in cui crescevano le mele d’oro (da lì viene il pomo della discordia, che provocherà la guerra di Troia). Le Esperidi vengono a volte raffigurate come figlie di Nyx (la Notte) altre volte come figlie del titano Atlante; sono in numero imprecisato, definite a volte come le “vergini dell’occaso” e nell’iconografia antica sempre rappresentate come bellissime e scarsamente o niente affatto vestite.

Eracle e un gruppo di…Spogliarellist*?

Prendiamo nota di questi dettagli, sono tutti estremamente importanti!

Ricapitolando abbiamo un luogo nell’Oceano, a ovest delle Colonne d’Ercole (presumibilmente un’isola, dato che il continente americano era sconosciuto all’epoca) abitato da un numero imprecisato di bellissime ninfe seminude, figlie della Notte (cioè collegate in qualche modo all’oltretomba) e di Atlante, che custodiscono il frutteto che produce i pomi d’oro.

Tralasciando per un attimo le ultime due informazioni, ci tornerò prestissimo, sembra abbastanza probabile che gli antichi parlando del Giardino delle Esperidi si riferissero più o meno esplicitamente all’Isola citata nei nostri Testi Sacri! La vera domanda è: dove si trova quest’isola?

Il riferimento ad Atlante è illuminante: c’è un’isola nell’Oceano Atlantico che si trova a circa 300 km dalle coste dell’Africa ma, grazie a una serie di circostanze, può essere visibile a occhio nudo dal continente. L’isola di Tenerife, nell’arcipelago delle Canarie, è costituita quasi interamente dal massiccio del Teide, montagna alta circa 3700 metri che è visibile dal continente africano purché uno salga sulle montagne del Marocco, che guarda caso sono note come la catena dell’Atlante!

Paradiso per turisti…o Paradiso e basta?

Tutto questo può essere ovviamente una pura coincidenza, ma mi è sembrato sufficiente per indagare un po’ più a fondo: quest’isola nell’Oceano, sull’orlo della Notte, visibile solo dall’Atlante, potrebbe forse essere la sede del mitico Giardino delle Esperidi?

Beh, apparentemente anche gli antichi lo credevano. Plinio accenna alle Insulae Fortunatae che Tolomeo identifica senza ambiguità con le Canarie. Ma il termine usato da Plinio è la traduzione in latino della denominazione greca dell’arcipelago, μακάρων νῆσοι (makárōn nêsoi), che significa appunto “isole fortunate” o “isole dei beati” (ancora un riferimento all’aldilà).

E qui sorge spontanea una domanda: è possibile che μακάρων νῆσοι sia in origine una corruzione di μακαρόνια νῆσοι (makárōnia nêsoi) , cioè “isole degli spaghetti“? Anche il fatto che secondo il mito sull’isola crescessero i pomi d’oro (o pomodori?) tende a confermare questa ipotesi.

A questo punto ho deciso che era necessaria una ricognizione sul posto; abbiamo preso il nostro veliero e siamo salpati per le Canarie, destinazione Santa Cruz de Tenerife.

Il Vulcano non manca: Sua Maestà El Teide

La prima cosa che si vede avvicinandosi a Tenerife è El Teide, sarebbe difficile non notarlo. È una montagna perfettamente conica, alta 3700 metri, che copre praticamente tutta l’isola; ed è anche il più alto vulcano attivo d’Europa (OK, questo è solo un tecnicismo, le Canarie appartengono alla Spagna è quindi sono legalmente Europa, anche se geograficamente sono in Africa).

La seconda cosa che si vede arrivando a Tenerife è la pubblicità della Dorada: è ovunque. La Dorada è la birra locale, prodotta nello stabilimento sulle pendici del Teide e quindi pubblicizzata come “la birra del vulcano“.

Alle pendici del Vulcano, Sacra Bevanda a fiumi

Purtroppo non sono ancora riuscito a identificare il sito esatto della Fabbrica di Spogliarellist*, ma è evidente che dev’essere da qualche parte lungo la costa, probabilmente nel sud dell’isola, almeno a giudicare dall’altissima concentrazione di corpi nudi sulle spiaggie, in particolare nella zona di Costa Adeje o di Playa de las Américas.

Concludendo: abbiamo un’Isola, con un Vulcano che produce birra e spiagge coperte di spogliarellist* (anche se non ho trovato la fabbrica, la considero comunque una prova indiziaria della sua esistenza), nota nell’antichità come Isola degli Spaghetti da cui provenivano i Pomidoro e come Isola dei Beati (cioè dei morti).

C’è forse bisogno di altre prove?

Sono tutte coincidenze?

Non credo proprio.

Presi(al)dente della Ciurma Pastafariana, Scardinale emerito, Frescovo emerito...un emerito, insomma.

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